Cibo e coperte calde. In questa stagione dell’anno, caratterizzata da basse temperature e neve, il Corpo Forestale dello Stato mette in atto una serie di interventi per aiutare gli animali selvatici in difficoltà.

«L’anno scorso è stato disastroso con branchi di cervi e caprioli decimati ma quest’anno l’inverno non ha portato finora né freddo né nevicate intense anche se pare stia arrivando una grande perturbazione», racconta all’Adnkronos Isidoro Furlan, comandante provinciale di Verona del Corpo Forestale dello Stato.«Per gli animali la neve è veramente il pericolo - spiega – se nevica molto i caprioli e i cervi si radunano sotto le piante e stanno lì un giorno o due mangiando i rametti dell’abete bianco. È una forma di sostentamento che consente loro di mantenere in vita la flora batterica, perché se completamente digiuni rischiano un blocco intestinale quando riescono nuovamente a mangiare». In quest’ottica, il foraggiamento è fondamentale nelle zone di montagna, con centinaia di mangiatoie distribuite sull’arco alpino.

«Le mangiatoie sono collocate già in autunno poi, in collaborazione con i guardiacaccia e il personale del Corpo Forestale, si porta una balla di fieno di 20 chili e la si mette nella mangiatoia. L’animale sente il profumo del fieno immediatamente, anche a distanza di 200-300 metri, poi passa e la vede» e «quando arriva la grande nevicata si attiva in modo automatico questo meccanismo».

«Un altro elemento di pericolo per la fauna è dato dall’impossibilità di muoversi», spiega ancora Furlan. C’è il rischio infatti che l’animale resti ‘incastrato’ dalla neve in una sorta di «trappola spaventosa: fa avanti e indietro, si sfianca e muore di fatica. Un problema che riguarda caprioli e cervi mentre il camoscio riesce a sopravvivere perché si trova sempre nelle pareti più alte e lì la neve non rimane a lungo perché il vento la porta via». Altro problema: «Ci sono tante persone che vanno fuori pista, fanno le ciaspolate spaventando gli animali che sentono il rumore dell’uomo e scappano. Il volo di un esemplare come la pernice bianca o il gallo cedrone, che non mangia da tre giorni, può essere l’ultimo perché se viene disturbato tutto l’inverno in questo modo esaurisce tutte le energie non per mangiare ma per scappare», sottolinea il comandante provinciale di Verona. Insomma la raccomandazione è quella di «rimanere sempre all’interno delle piste da sci perché lì gli animali non si avvicinano». Quindi il «fuori pista è assolutamente sconsigliato in primo luogo perché può provocare le valanghe e poi perché si disturbano gli animali che sono nel periodo peggiore dell’anno».

Oltre alla neve un altro elemento di pericolo per alcune specie è rappresentato dal freddo. Anche in questo caso esistono programmi di soccorso per esemplari a rischio ipotermia. Come, per esempio, «l’istrice che esce dalla tana e trova un grande freddo, non si muove più, non ha bisogno di mangiare e sta completamente fermo anche ai margini di una strada: allora si va in soccorso con una coperta per trasportarlo in un luogo caldo dove si rimette in sesto in breve tempo». Anche «la donnola, lo scoiattolo, il ghiro e la faina – spiega l’esperto del Corpo Forestale – sono a sangue caldo e sono costretti a uscire un paio di volte al mese durante l’inverno per cibarsi e per ripulire l’intestino». Quando si trova un animale in difficoltà, però, «bisogna stare attenti e avere le dovute cautele perché potrebbero sentirsi aggrediti e aggredire a loro volta quindi è necessario rivolgersi a personale attrezzato con i guanti di pelle chiamando il 1515 del Corpo Forestale o i volontari del soccorso animali selvatici che garantiscono tutta una metodologia d’intervento contro l’ipotermia».