Costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica degli stessi, procurando loro dolore e afflizione“.

Sulla base di questo principio giurisprudenziale la Corte di Cassazione Penale, Sezione Terza con la sentenza n. 36866 pubblicata il 6.9.2016 ha confermato la condanna per il reato previsto e punito dall’art. 727 c.p., (abbandono di animali) a un uomo che aveva detenuto un pastore tedesco in condizioni incompatibili con la sua natura e di grave sofferenza, omettendo di prestare all’animale le cure di cui necessitava.

La Suprema Corte ha condannato al pagamento di una multa di 2 mila euro il proprietario del cane per avergli così causato gravi sofferenze avendolo tenuto lontano dalla sua abitazione, in solitudine e in cattive condizioni di salute, come emerso dal processo di primo grado dalle testimonianze: il cane non si reggeva sulle zampe, presentava lesioni e altre patologie.

Con questa sentenza si conferma che il reato di cui all’art. 727 del codice penale è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura.

In questa particolare vicenda giunta dinanzi alla Suprema Corte, l’affermazione della responsabilità si fonda sul fatto che l’imputato deteneva il pastore tedesco in luogo distante dalla propria abitazione, quindi, “con poche occasioni di stare in sua compagnia, e “in condizioni di saluta precarie e sicuramente produttive di sofferenza fisica per l’animale, non curandosi adeguatamente dello stesso – tanto da non essersi nemmeno accorto della sua situazione fisica”, con la conseguenza che quel che si rimprovera al proprietario del pastore tedesco è “l’omessa prestazione di cura e assistenza, dovuta ad un comportamento di trascuratezza colposa”.

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