Vademecum della Lega abolizione caccia contro le pietanze fuorilegge a base di selvaggina  

Alzavola al forno? Tordi su polenta? Ghiri alla pizzaiola? Spesso nella ricca cucina italiana spuntano fuori menù a base di selvaggina in sagre, trattorie e che offrono “piatti tipici”. In molti casi queste proposte alimentari sono vietate dalla legge.

La Lega abolizione caccia  (Lac) spiega quali sono le regole e cosa si può fare se si sospetta una violazione.

La legge n. 157/92 sulla caccia vieta espressamente di “commerciare fauna selvatica morta – che non proviene da allevamenti- per sagre e manifestazioni a carattere gastronomico” (Art. 21, comma primo- lettera t) , e ” vendere, detenere per vendere, trasportare per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonché loro parti o prodotti derivati facilmente riconoscibili, anche se importati dall’estero, appartenenti a tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri dell’Unione europea, ad eccezione delle seguenti : germano reale; pernice rossa ; pernice di Sardegna ; starna ; fagiano; colombaccio” (Art. 21 comma primo lettera bb).

Occorre quindi prestare attenzione a quello che si legge nei menù.

Nel caso di quaglie e fagiani si tratta probabilmente di carne di animali di allevamento, e quindi ne è legittima la somministrazione.

I mammiferi e gli uccelli non cacciabili non sono commercializzabili né vivi né morti.

Se ci si trova di fronte a qualche menù che contiene piatti fuorilegge, è opportuno segnalare la violazione agli organi preposti alla vigilanza venatoria, anzitutto ai Carabinieri forestali (112) o alla Polizia provinciale.

Per specie cacciabili come beccacce, merli, tordi e allodole è del tutto impossibile che siano stati allevati nelle quantità necessarie a rifornire la ristorazione. Sicuramente sono uccelli abbattuti durante la caccia o procacciati con metodi illegali dai bracconieri. Dunque possono essere consumati dal cacciatore a casa propria ma non possono essere serviti in trattorie e ristoranti.

Per il reato di commercio illegale di fauna selvatica è previsto l’arresto da due a sei mesi o l’ammenda da euro 516 ad euro 2.065 (pene raddoppiate nel caso delle specie particolarmente protette; chiusura dell’esercizio commerciale per un mese in caso di condanna).

La Lac sottolinea che “non vi è solo una questione di legalità e di tutela del patrimonio faunistico, in alcuni casi depredato dai cacciatori di frodo per rifornire la ristorazione. C’è anche una questione di igiene e sicurezza degli alimenti. Mentre la carne di allevamento segue precise norme igieniche e sanitarie relative all’allevamento e alla macellazione degli animali, quella proveniente dalla fauna selvatica abbattuta a caccia sfugge quasi sempre a qualsiasi controllo sanitario nelle varie fasi, dall’abbattimento alla cucina, e può rappresentare di conseguenza una potenziale minaccia alla salute pubblica. Gli animali catturati nelle trappole, come i tordi, possono anche avere carni deteriorate se recuperati dopo alcuni giorni.  Sta ai consumatori, con il proprio comportamento, dire un ‘no’ deciso a qualsiasi offerta di piatti sospetti. Non c’e’ tradizione che tenga: mangiarli equivale a essere complici di un reato e a dare un contributo alla distruzione di un patrimonio sempre più fragile”.

Per riassumere:

1. Durante sagre e manifestazioni gastronomiche si può servire solo carne di animali d’allevamento.

2. Nei negozi e in esercizi di ristorazione non si possono commerciare uccelli selvatici che non siano germano reale, pernice rossa, pernice sarda, starna, fagiano o colombaccio; il resto dell’avifauna in vendita o cucinata è illegale, anche se appartenente a specie cacciabili.

Se ci si trova di fronte a qualche menù che contiene piatti che violano le regole appena dette, è opportuno segnalare la violazione agli organi preposti alla vigilanza venatoria (Polizia Provinciale o Carabinieri forestali).

(Nelle foto, una beccaccia cacciata e cucinata)