di Danilo Mainardi

Può essere sorprendente, ma l’animalismo è un atteggiamento di carattere etico connaturato alla natura umana, anche se solo da poco tempo ha assunto un’importanza così rilevante. E, quando dico connaturato, intendo che le sue radici stanno proprio nel profondo della nostra biologia, che è quella di una specie molto sociale. In tutti gli esseri sociali, d’altronde, è presente una qualche forma d’altruismo, anche se priva, però, di quelle caratteristiche che di norma attribuiamo all’etica. Perché avvenga la transizione tra altruismo ed etica occorre infatti che si sviluppi una consapevolezza, di sé e degli altri, che solo nella nostra specie troviamo totalmente realizzata.
Parliamo però, innanzitutto, delle radici biologiche. Ora sappiamo che le nostre aree cerebrali ricche di neuroni reattivi alla dopamina risultano attivate quando spontaneamente compiamo azioni altruistiche. Il che sta a significare che otteniamo una sorta di ricompensa biologica ogni volta che facciamo qualcosa di positivo per qualcun altro. Essere altruisti, in pratica, ci fa sentire meglio e, al proposito, mi pare affascinante vedere confermata sul piano scientifico l’intuizione aristotelica che la virtù, già in se stessa, è felicità.
Tutto ciò, comunque, sarebbe ancora troppo generico. Perché il nostro altruismo divenga etica animalista occorre infatti ben altro. Credo, soprattutto, la capacità, in parte intuitiva, di riconoscere ad animali-non-umani sentimenti simili ai nostri. Solo così, grazie alle nostre capacità empatiche, può nascere l’animalismo. la sua esplosione attuale, pure anticipata da episodi anche antichi e che a ogni modo si manifesta spesso nella storia dell’umanità, è comunque dovuta al convergere di fenomeni nuovi e diversi. Ricordo i recenti progressi dell’etologia cognitiva, che riconosce a molte altre specie intelligenza e sensibilità, la sempre più frequente condivisione della vita emotiva con animali che spesso sono stati appositamente selezionati per caratteristiche infantili (il che non guasta) e infine la tendenza a rappresentare gli animali, nella narrativa e in varie forme di spettacolo, fortemente umanizzati.
Parlando di “etiche moderne” c’è pure da rimarcare una sostanziale differenza, direi di bersaglio, tra i cultori delletica ambientale e quella animalista. Per i primi contano solo le specie, per i secondi soltanto gli individui.

(Articolo pubblicato nel n. 20 di Sette, settimanale del Corriere della Sera, il 19 maggio 2011)