Non curare il proprio animale domestico è un reato. Lo ha stabilito la Corte Cassazione con la sentenza n. 22579/2019. E’ dunque colpevole di reato di maltrattamenti degli animali il proprietario che, in presenza di una malattia manifesta ed evidente dell’animale, omette di farlo curare dal veterinario. Inoltre, rifacendosi al concetto di lesione sancito dall’art 582 del codice penale, è rilevante ai fini del configurarsi del reato di maltrattamenti anche l’aggravamento della malattia causato dalla condotta trascurante e omissiva del proprietario.

“La Corte di Cassazione ha confermato la multa di 10 mila euro a carico del proprietario che non ha fatto curare la propria cagnolina con evidenti tumori alle mammelle”, spiega lo Sportello dei diritti. “In fondo alle interessanti motivazioni i giudici hanno stabilito un nuovo principio di diritto secondo cui si configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all’art. 582, cod. pen., l’omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un’apprezzabile compromissione dell’integrità dell’animale”.

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La vicenda processuale (estratto dal sito StudioCataldi.it)

La Corte di appello, in parziale riforma della decisione del tribunale, riduceva la pena irrogata all’imputato a 10.000,00 euro di multa, per il reato di cui all’art. 544 ter cod. pen. poiché non si era adoperato per assicurare il benessere e la salute di una meticcia di cui era proprietario, mettendone in pericolo la sopravvivenza. Il cane veniva infatti trovato “dagli operatori del canile […] vagante ed in pessime condizioni di salute” così come accertate da un medico del Servizio veterinario Ausl locale, che riscontrava diversi grossi tumori mammari ulcerati, dermatite, calli da decubito e artrosi agli arti posteriori e anteriori. L’imputato ricorre in Cassazione lamentando:

  • violazione di legge (art. 43 e 544 ter cod. pen.) e contraddittorietà della motivazione. La corte, pur consapevole della condotta colposa del soggetto, gli ha attribuito il reato a titolo di dolo eventuale, senza alcuna prova che dimostri la volontà della condotta e senza tenere conto del fatto che, non essendo un veterinario, non era in grado di rendersi conto della malattia del cane. Pertanto se è ammissibile un’accusa di trascuratezza, non lo è quella di aver voluto cagionare intenzionalmente all’animale una malattia o una sofferenza, visto che, come dichiarato dal veterinario, il cane appariva ben nutrito;
  • violazione di legge (art. 544 ter e 582 cod. pen.) e contraddittorietà della motivazione. Si contesta anche la configurabilità dell’elemento materiale delle lesioni, in quanto non riconducibili alla condotta dell’imputato. Il proprietario non può essere ritenuto responsabile del tumore, manca quindi l’elemento della lesione previsto dalla norma. La parte civile A.N.P.A.N.A. (Associazione Nazionale Protezione Animali Natura ed Ambiente) deposita memoria con cui chiede la conferma della sentenza e la condanna alle spese.

La Cassazione rigetta il ricorso con la sentenza n. 22579/2019 ritenendo i motivi infondati e generici. Per quanto riguarda la contestazione sulla insussistenza del dolo, gli Ermellini, richiamando una precedente Cassazione, precisano che: “In materia di delitti contro il sentimento per gli animali, la fattispecie di maltrattamento di animali (art. 544 ter cod. pen.) configura un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale è tenuta per crudeltà, mentre configura un reato a dolo generico quando la condotta è tenuta senza necessità.” Ed è proprio all’assenza di necessità che il caso di specie deve essere ricondotto. L’imputato infatti, a causa della sua condotta omissiva e incurante, ha cagionato all’animale notevoli sofferenze, tanto da rendersi necessario un intervento chirurgico. Del reato la malattia non solo era presente da tempo, ma era riscontrabile in maniera evidente, per cui la condotta è da ricondurre quantomeno al dolo eventuale.

Per quanto riguarda la contestazione relativa alla lesione, sempre richiamando precedente giurisprudenza, la Corte Suprema sancisce che “Nel reato di maltrattamento di animali, la nozione di lesione, sebbene non risulti perfettamente sovrapponibile a quella prevista dall’art. 582 cod. pen., implica comunque la sussistenza di un’apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell’animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia comunque diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva od omissiva.” Erra quindi l’imputato nel ritenere di non aver cagionato lesioni all’animale, poiché anche l’aggravamento di una malattia preesistente, ai sensi dell’art 582 cp configura una lesione.

La Corte enuncia quindi il seguente principio di diritto: “Configura la lesione rilevante per il delitto di maltrattamento di animali, art. 544 ter, in relazione all’art. 582, cod. pen., l’omessa cura di una malattia che determina il protrarsi della patologia con un significativo aggravamento fonte di sofferenze e di un’apprezzabile compromissione dell’integrità dell’animale”.

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